Tino di Camaino fu uno scultore senese attivo nella prima metà del XIV secolo (1285 - 1337 circa). Figlio dello scultore Camaino di Crescentino fu introdotto dal padre, aiuto di Giovanni Pisano e importante maestro dell'Opera del Duomo di Siena, nell'ambiente del grande scultore che seguì a Pisa. Qui lavorò al cantiere della Cattedrale, di cui divenne presto capomastro, ed ebbe importanti commissioni: un Fonte Battesimale (1312) di cui resta qualche frammento, e soprattutto il monumento, ora scomparso tra la Cattedrale e il Museo Nazionale di San Matteo, di Enrico VII. Avendo dovuto allontanarsi da Pisa a causa di lotte politiche, rientrò a Siena, dove lavorò accanto al padre al cantiere della Cattedrale, di cui fu, nel 1319 e nel 1320, capomastro. Attivo successivamente a Firenze nel cantiere della Cattedrale si stabilì, a partire almeno dal 1325, a Napoli, dove fu chiamato al servizio degli Angiò e dove morì verso il 1338.
Di Giovanni Pisano, Tino di Camaino fu di certo l'allievo più grande e geniale. Partito da una stretta seppur personale interpretazione dei suoi modi (la sua Madonna del Museo Civico di Torino ne è un esempio), li modificò gradualmente , conferendo maggiore importanza alle superfici distese, non senza l'influsso di Ambrogio Lorenzetti, e ridando alle statue il valore di "blocco", di massa, che gli era stato in parte tolto dalle dinamiche ed espressive ricerche di movimento del Pisano.
Già nelle statue del Monumento dell'Imperatore Enrico VII si esprime compiutamente il linguaggio di Tino negli accarezzati piani dei volti, nei corpi chiusi come bozzoli. Eccezionale il vigore ritrattistico: volti come quelli dell'Imperatore e i suoi consiglieri sono tra i più bei ritratti gotici italiani.
Fra le altre opere pisane che gli vengono attribuite ci sono l'Altare di San Ranieri nel camposanto e una statua di Madonna col Bambino nella Chiesa della Spina. A Siena, nel periodo in cui fu capomastro dell'Opera del Duomo, scolpì il Monumento Funebre del Cardinal Petroni. I rilievi sulla fronte del sarcofago sono particolarmente indicativi del procedere di Tino verso forme di "stiacciato" pittorico. A questo modello senese si collega strettamente il Monumento Funebre di Gastone della Torre, nel chiostro di Santa Croce,, probabilmente la prima opera cui fu attivo dopo il suo arrivo a Firenze.
L'opera più importante del periodo fiorentino di Tino di Camaino fu la Tomba del Vescovo Orso, morto nel 1321, di cui si conservano ancora nella Cattedrale il sarcofago e la statua del defunto, mentre molti altri frammenti sono in vari musei italiani e stranieri: particolarmente interessante tra questi la Madonna Sedes Sapientiae del Museo del Bargello. Si può misurare qui il percorso di Tino: rimangono ancora le profonde e oscure pieghe del Pisano, gli orli delle vesti sfrangiate e bucherellate dal trapano, il senso di un'energia contenuta, ma le superfici sono assai più distese, le epidermidi più accarezzate, le ombre meno dure. Siamo di fronte, insomma, a un processo di raffinato impreziosirsi dello stile del maestro pisano, che sarà portato alle estreme conseguenze quando Tino si troverà a operare, maestro senza rivali, nel lussuoso e decadente ambiente della Corte Angioina di Napoli.
Al Museo dell'Opera del Duomo di Firenze rimangono alcune teste e qualche busto di eccezionale qualità: sono tra le migliori cose di Tino e in esse l'equilibrio tra la massa e la forza tipica del Pisano ed il decorativismo accarezzato di Tino non è ancora spezzato a favore di quest'ultimo termine, come accadrà invece nella produzione napoletana.
Arrivato a Napoli verso il 1325, il maestro trascorse qui l'ultimo decennio della propria vita, lavorando successivamente alle tombe di Caterina d'Austria (morta nel 1323) in San Lorenzo Maggiore, di Maria d'Ungheria (morta nel 1323) nella Chiesa di Santa Maria Donnaregina, di Carlo di Calabria e di Maria di Valois nella Chiesa di Santa Chiara, di Giovanni di Durazzo (morto nel 1335) nella Chiesa di san Domenico.
Altre opere eseguite durante questo soggiorno meridionale sono nell'Abbazia di Cava dei Tirreni in Sant'Antonio di Amalfi. Nelle opere napoletane, cha hanno fondamentale importanza, particolarmente nel tipo di monumenti funebri a padiglione, per la diffusione della scultura gotica pisana nel Mezzogiorno d'Italia, si trovano sviluppate quelle tendenze già riconoscibili nelle opere fiorentine di Tino: la costate riduzione della massa a superfici sempre più larghe, un certo grafismo gotico incoraggiato dalle tendenze francesizzati della Corte, un crescente preziosismo nel trattamento dei volti, delle epidermidi.
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