Brani e frammenti tratti da i Paradisi Artificiali, di Charles Baudelaire, con immagini e musica d'autore. Un esperimento di fruizione multisensoriale di letteratura e poesia.
Un Mangiatore d'Oppio.
Paradisi Artificiali, Charles Baudelaire, Garzanti Editore, Milano, 1991.
«O giusto, sottile, possente oppio! Tu che nel cuore del povero come del ricco, alle ferite che mai si cicatrizzeranno e alle angosce che inducono la mente alla ribellione, offri un balsamo che lenisce; oppio eloquente! Tu che, con la tua possente retorica, rendi inermi le decisioni della rabbia, e che, per una notte, rendi all'uomo colpevole le speranze della gioventù e le sue mani di una volta pure di sangue; tu che offri all'uomo orgoglioso un effimero oblio
Di torti irreparati, di invendicati insulti;
tu che citi di fronte ai tribunali dei sogni i falsi testimoni, per il trionfo dell'innocenza immolata; tu che confondi lo spergiuro; tu che annulli le sentenze dei giudici iniqui; - tu edifichi nelle più profonde tenebre, con la sostanza immaginaria del cervello, con un'arte più intensa di quella di Fidia e di Prassitele, città e templi più splendidi di Babilonia e Hecatompylos, e dal caos di un sonno gremito di sogni evochi alla luce del sole i volti delle bellezze da tanto tempo sepolte, e le fisionomie familiari e benedette, purificate dalle ingiurie delle tomba tomba.
Tu solo, offri in dono all'uomo questi tesori e possiedi le chiavi del paradiso, o giusto, sottile e possente oppio!» - Ma prima che l'autore abbia avuto l'audacia di elevare, in onore del suo amato oppio - questo grido violento come la gratitudine dell'amore, quante astuzie, quante cautele da retore! Innanzitutto l'eterna affermazione di chi deve fare confessioni compromettenti, quasi deciso, però, a compiacersene...
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Colui che, per lungo tempo si è consegnato all'abisso dell'oppio o dell'hascisc e ha potuto trovare, pur indebolito dall'abitudine della sua schiavitù, l'energia necessaria per affrancarsene, mi appare come un evaso. Mi ispira più ammirazione dell'uomo prudente, che non ha mai errato, e che ha avuto sempre cura di evitare la tentazione.
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Epoca oscura, vasto dedalo di tenebre, attraversato a intervalli da visioni sfarzose e opprimenti:
È come se un pittore eccelso avesse
immerso il suo pennello
nell'umor nero del sisma e dell'eclisse.
Questi versi di Shelly, così solenni e veramente miltoniani, rendono bene il colore di un paesaggio oppiaceo, se così ci si può esprimere; ecco il cielo tetro e l'orizzonte impermeabile che avvolgono il cervello asservito dall'oppio. L'infinito nell'orrore e nelle melanconia e, più melanconica di tutto, l'impotenza di strappare se stessi al supplizio!
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