Frammenti di Testo tratti dal saggio Sulla Maschera, del sociologo e filosofo Alessandro Pizzorno. In particolare, in queste righe, si affronta il tema, anzi l'equivalenza, della parola maschera con la parola persona.
"Ci sembra quindi che l'analisi della presenza della maschera alle origini della rappresentazione teatrale abbia potuto confermare le condizioni fondamentali del rapporto di questo oggetto con l'uomo. Ora passiamo ad esaminare un altro fenomeno, marginale, ma che rileva fortemente certi dati interessanti per la nostra questione. È la storia della parola latina persona. Dapprima vuol dire "maschera", la maschera che l'attore porta sul volto nella rappresentazione teatrale. Nel vocabolario teatrale la parola si allarga quindi a significati vicini: il personaggio, la parte. È facile capire come da qui passi alla terminologia dei tribunali, perché il processo, la lite, sono come rappresentazioni in cui ognuno agisce con una funzione rappresentativa, sia di altri che di se stesso. «Personam agere » vorrà dire «rappresentare la parte di qualcuno». Cicerone dirà: «tre persone io rappresento nello stesso tempo» - tres personas unus sustineo - la mia propria, quella dell'avversario e quella del giudice. Adoperata col genitivo essa assumerà allora il significato di un uomo in generale: persona regis, persona iudicis non vorrà più dire come si potrebbe pure immaginare: l'oggetto maschera che rappresenta il re, che rappresenta il giudice, bensì il re e il giudice stessi, in quanto tali, cioè nella loro funzione distintiva. In generale la parola viene usata di preferenza alle altre analoghe quando ci si riferisce a ciò che l'individuo è agli occhi degli altri; o nella sua funzione fra gli altri; il ruolo, l'ufficio, l'incarico, la dignità, il grado, l'uomo è qualités.
Il significato proprio di «maschera» si mantiene intatto; fino a Fedro, nella celebre favola, dove una volpe incontra una maschera nella campagna; fino a Seneca, nell'amara invettiva contro i suoi tempi: «Non hominibus tantum, sed rebus persona demenda est et reddenda facies sua». Da questi elementi possiamo ritenere che una parola che significa «maschera» serve anche, per determinati rapporti, a indicare ciò che l'uomo è di fronte agli altri uomini. ma significa pure l'umanità dell'uomo in quanto tale, e perciò passerà a sostituire homo quando questo termine consumerà il suo significato originario per venire usato al posto di viro. E significa anche «carattere»... carattere e personaggio teatrale sono stati spesso omonimi. Infatti si è, o si ha, un carattere solo per gli altri, lo si mostra, lo si rappresenta. Sarà come una maschera, ma sarà anche ciò che noi siamo. Se abbiamo visto giusto e maschera significa volto definitivo, di morte e di destino, quando Epitteto dirà: «scolpisci la tua maschera», ciò vorrà dire «componi il tuo destino».
Ad un certo punto le dispute patristiche vengono a dare un significato inatteso alla parola persona. Essa aveva subito un'interferenza da parte del suo equivalente greco πρόσωποv; il quale ha una storia analoga, e già in Omero lo troviamo nel significato di «faccia». Poi «maschera», poi personaggio importante, personalità, per assumere, solo in epoca tarda, un significato deteriore. Rilevante è l'influenza che il termine greco ha avuto su quello latino per l'adozione nella terminologia grammaticale a significare le tre flessioni del verbo, secondo le tre possibilità di realizzazione rispetto al soggetto. È noto che si è pensato di collegare la triplice destinazione al fatto che il dramma aveva tre attori. E le interferenze poi si fanno più evidenti quando ci si accinge a determinare la terminologia patristica.
Si è discusso a lungo quale dei due nomi, il greco o il latino, sia derivato dall'altro nell'uso delle dispute dogmologiche. Si trova già in Clemente Alessandrino, ma è Tertulliano che, di persona, dà le prime formulazioni decisive. Da allora il termine servirà definitivamente ad indicare le tre persone divine. Si opporrà a natura («unitas in tres personas, una persona in tres naturas»), assumerà il significato di sostanza individuale, fino alla celebre definizione di Boezio (rationalis naturae individua substantia) della quale poi san Tommaso darà un'interpretazione significativa; la persona è qualcuno che ha una certa dignità, un personaggio, diremmo noi. Ma quale maggiore dignità che quella di avere una natura razionale:
inde omne individuum rationalis naturae dicitur persona... sed dignitas divinae naturae excedit omne dignitatem, et secundum hoc maxime competit Deo nomen personae.
In quanto costituisce una dignità, quindi, la razionalità definisce la persona. essa non fa che sostituire precedenti dignità di ordine sacro (ancestrali, iniziatiche, ecc.) che prima davano senso alla maschera, come essa ora dà senso alla persona. Ma che cosa è questa nuova radice di dignità, il razionale, se non il luogo dove si realizza il principio di identità? Tale principio si introduce ora nella nozione di persona concepita come sostanza, come prima esso era condizione di quella figura che gli uomini assumevano mettendosi la maschera.
Non vogliamo stabilire analogie ristrette, ma solo corrispondenze che siano indicative. È chiaro che Tertulliano, che aveva già scritto un libro acceso contro ogni sorta di spettacoli, quando adotta nell'Adversus Praxeam, il termine persona, non ha intenzione di paragonare le tre persone divine a maschere. Il contesto mostra che egli dapprima esita tra gradus, formae e species, e infine accoglie personae, suggeritogli, parrebbe, da un'analogia di significato con «amministratore», «rappresentante». Fra i padri della Chiesa, insomma, non ci fu il riferimento alla maschera pensando alle persone divine. Solo quando i Greci adottano πρόσωποv, l'equivoco tra i significati di questo termine e i significati di «volto» e di «maschera» favorirà eresie come quelle dei Moralisti e dei Sebelliani, i quali immaginavano la divinità come indossante volta per volta l'una o l'altra maschera. Ma si trattò di eresie, e l'equivoco fu limitato e passeggero. Resta il fenomeno obiettivo di una parola che significa maschera e che si estende ad altri significati, fino a quello di sostanza individuale, e diventa attributo della divinità. Risultano dunque evidenti da questi brevi cenni, senza che ci dilunghiamo a specificarli, i rapporti di tali nozioni con quelle che ci sono servite a definire la maschera nel suo aspetto antropologico."
Alessandro Pizzorno, Sulla maschera, edizione Il Mulino, Bologna, 2008.
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